Rapporto Svimez 2019 – Il Molise esiste, ma rischia di scomparire

Allarme della Uil Molise dopo che sono stati resi noti i dati dello studio. Sempre più vanno via in cerca di lavoro e opportunità

La Voce del Sannio, di Fosca Colli – Allarmante il quadro emerso per il Molise e non solo dall’ultimissimo Rapporto Svimez, associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno, presentato il 4 novembre a Roma. Una fotografia dell’Italia da Nord al Sud, che punta l’indice su questioni spinose quali doppio divario Sud/Nord, Italia/Europa; la rottura dell’equilibrio demografico; la società del Mezzogiorno e i diritti di cittadinanza; le trasformazioni del sistema produttivo; la debolezza delle politiche pubbliche; il ruolo del Sud in una strategia di sviluppo sostenibile.

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La stagnazione è aggravata da dinamiche demografiche avverse che riguardano tutto il Paese e segnatamente il Mezzogiorno. Per effetto della rottura dell’equilibrio demografico (bassa natalità, emigrazione di giovani, invecchiamento della popolazione), il Sud perderà 5 milioni di persone e, a condizioni date, quasi il 40% del Pil. Solo un incremento del tasso d’occupazione, soprattutto femminile, può spezzare questo circolo vizioso.

L’Allarme della Uil per il Molise

Tecla Boccardo, segretario regionale Uil Molise, non nasconde la sua preoccupazione per i dati del Rapporto Svimez appena diffuso. Ha sottolineato come siano molti quelli che si trovano a scappare via, come gli investimenti pubblici siano di fatto crollati, e come in tanti non finiscano gli studi e coloro che li portano a termine vanno altrove. Parla senza mezzi termini di “dramma socioeconomico” che rischia di sfociare in tragedia. Fa appello affinché si dia luogo ad una forte politica di rilancio per lo sviluppo del Sud; una politica che possa rimettere in equilibrio le differenze territoriali con un aumento degli investimenti. Se non si provvederà a muoversi con efficienza, efficacia e celerità si rirchia di finire nel baratro. Per l’esponente della UIL si è giunti ad un bivio: o a far sopravvivere il Molise oppure cancellarlo del tutto.

Ecco in sintesi cosa dice il Rapporto Svimez

Per la SVIMEZ bisogna tornare a una visione unitaria della stagnazione italiana, smarcandosi dalla lettura dell’aumento delle disuguaglianze esclusivamente legata al confine immutabile tra Nord e Sud. Per questo motivo vanno valorizzate le complementarietà che legano il sistema produttivo e sociale delle due parti del Paese.  Le richieste di regionalismo differenziato vanno valutate nel contesto di un’attuazione organica, completa, equilibrata, del nuovo Titolo V. In quest’ottica il confronto sulla valorizzazione delle autonomie e la riduzione delle disuguaglianze va depurato dalle scorie rivendicazioniste provenienti da Nord e da Sud e riportato sui temi nazionali della qualità delle politiche di offerta dei servizi pubblici e su quelle necessarie per la ripresa della crescita. Le eventuali concessioni di autonomia rafforzata devono essere motivate dall’interesse nazionale, non da quello particolare delle singole regioni richiedenti. La SVIMEZ stigmatizza l’uso strumentale del concetto di residuo fiscale, misura della redistribuzione riferibile agli individui, non ai territori. La SVIMEZ è favorevole alla costruzione di un fronte unitario intorno ad un Sì convinto ai principi del federalismo cooperativo nell’interesse del Paese per rendere sostenibili le richieste di autonomia.

La vera sfida è un’attuazione ordinata del federalismo fiscale per privare anche le classi dirigenti meridionali degli alibi dell’attuale centralismo avaro, utile per rivendicare più risorse e per nascondere le inefficienze. Una sfida che si basi sulla definizione dei costi standard e dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni), al fine di assicurare pari diritti di cittadinanza e un Fondo perequativo per colmare il deficit infrastrutturale.  

Male l’agricoltura al Sud, bene il terziario, l’industria stenta

Il valore aggiunto dell’agricoltura è calato nel 2018 al Sud di -2,7%, nel Centro-Nord è aumentato di +3,3%. Il valore aggiunto dell’industria in senso stretto è aumentato di +1,4% nel 2018 al Sud, in calo rispetto al 2017 (+2,7%). Nel Centro Nord è cresciuto di +1,9%. Il valore aggiunto del terziario al Sud nel 2018 è aumentato di +0,5%, meno che al Centro-Nord (+0,7%).

Le diverse velocità delle Regioni

Nel 2018 Abruzzo, Puglia e Sardegna sono state le regioni che hanno registrato il più alto tasso di crescita, rispettivamente +1,7%, +1,3% e +1,2%.

Nel Molise e in Basilicata il PIL è cresciuto del +1%. In Sicilia ha segnato +0,5%. Campania a crescita zero nel 2018.

Calabria unica regione meridionale che ha visto una flessione del PIL di -0,3%. L’eccessivo ricorso al part time involontario

Si riallarga il gap occupazionale tra Sud e Centro-Nord, nell’ultimo decennio è aumentato dal 19,6% al 21,6%: ciò comporta che i posti di lavoro da creare per raggiungere i livelli del Centro-Nord sono circa 3 milioni. La crescita dell’occupazione nel primo semestre del 2019 riguarda solo il Centro-Nord (+137.000), cui si contrappone il calo nel Mezzogiorno (-27.000). Al Sud aumenta la precarietà che si riduce nel Centro-Nord, riprende a crescere il part-time (+1,2%), in particolare quello involontario che nel Mezzogiorno si riavvicina all’80% a fronte del 58% nel Centro-Nord.

Investire più risorse pubbliche nel Mezzogiorno per far crescere il Sistema Paese

La SVIMEZ attende al più presto che il Governo annunci le linee del piano straordinario per il Mezzogiorno. Al centro della politica economica nazionale va posto la valorizzazione delle complementarietà che legano il sistema produttivo e sociale delle due parti del Paese. La sintesi del declino della spesa infrastrutturale in Italia sta nel tasso medio annuo di variazione nel periodo 1970-2018, pari a -2% a livello nazionale, di cui -4,6% nel Sud e -0,9% nel Centro-Nord. Gli investimenti infrastrutturali nel Mezzogiorno che negli anni ’70 erano circa la metà di quelli complessivi, negli anni più recenti sono calati a un sesto di quelli nazionali. In questo quadro vanno rafforzate le Politiche di Coesione, che dopo il 2020 potranno disporre di 60 miliardi di cui il 70% al Sud e saranno chiamate a operare i 7 e non più 5 regioni meno sviluppate, con l’aggiunta di Molise e Sardegna. Sono stati accumulati troppi ritardi nell’attuazione del ciclo in corso 2014-2020: la maggior parte delle risorse europee da certificare sono concentrate in Campania, Puglia e soprattutto Sicilia.

I pagamenti al Sud sono stati finora pari ad appena il 19,78% del totale. La spesa monitorata del Fondo Sviluppo Coesione, dove confluiscono le risorse finanziarie aggiuntive nazionali destinate al riequilibrio economico e sociale, è pari al 30 giugno 2019 a soli 37,6 miliardi, di cui realmente pagato soltanto 1 miliardo. Ciò dimostra un’evidente incapacità delle Amministrazioni centrali, regionali e locali, a utilizzare pienamente le risorse.

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